Genova, l’università italiana vietata dal governo al sociologo tunisino

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Safouane Trabelsi è un giovane ricercatore universitario, protagonista di un programma finanziato dalla Comunità Europea. Lo aspettavano nel nostro ateneo per uno scambio culturale. Ma l’Ambasciata italiana ha messo il veto

MASSIMO CALANDRI

Safouane Trabelsi è un giovane sociologo tunisino. Un ricercatore universitario. Uno studioso, protagonista di un programma finanziato dalla Comunità Europea. Il dottor Safouane Trabelsi è tutte queste cose, e molte altre ancora. Ma non è un uomo libero. La sua storia, denunciata da Paolo Comanducci, Rettore dell’Ateneo genovese, è un amaro esempio di “proibizionismo migratorio”. Di quelle frontiere che nonostante le quotidiane tragedie s’innalzano ancora più alte, massicce, e non potranno assicurare – mai – un futuro di pace e sviluppo nel Mediterraneo.

Lo aspettavano nel capoluogo ligure una settimana fa, non è arrivato e non arriverà più. L’Università di Genova aveva sottoscritto un invito formale, pagato il biglietto aereo via Parigi. Si era formalmente fatta carico di tutte le spese durante il suo soggiorno nel capoluogo ligure, garantiva per lui. Niente da fare. L’Ambasciata italiana di Tunisi all’ultimo momento ha di fatto negato il visto di ingresso con una serie di sorprendenti eccezioni. «Il comportamento rigido dei funzionari ha arrecato un danno economico ma soprattutto simbolico», sostiene il professor Comanducci in una risentita lettera trasmessa a Raimondo De Cardona, ambasciatore, e per conoscenza a Paolo Gentiloni, ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, insieme al ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. No, il dottor Trabelsi non è un uomo libero: come lui, quanti in Tunisia e dall’altra sponda del Mediterraneo?

“Alyssa” è il nome del progetto europeo che favorisce la cooperazione accademica tra atenei europee e tunisine. Da un anno esatto, il Laboratorio di sociologia visuale dell’Università di Genova sta lavorando in Tunisia a un docu-film sulla Primavera Araba, la cui voce s’è alzata per prima proprio in quel Paese – a Sidi Bouzid era la mattina del 17 dicembre 2010, quando un venditore ambulante si diede fuoco per protestare contro il governo di Ben Alì e le sue prevaricazioni -: nella capitale ci sono da tempo attrezzature e un regista, mentre molti ricercatori del Lab si sono alternati per la realizzazione del film e la formazione di una generazione di sociologi visuali presso l’Università Tunis el Manar.

Il progetto, che in parte si concentra proprio sul tema del “proibizionismo migratorio”, vuole che siano gli stessi protagonisti a scegliere le storie da filmare e la linea narrativa del montaggio. Intervistata proprio da Safouane Trabelsi, una donna – che ha perso il marito in un viaggio verso l’Italia a bordo di un barcone – racconta: “Ma quale indipendenza del 20 marzo! Noi siamo dipendenti dall’Europa, non abbiamo nulla da festeggiare, La prigione è la nostra casa, non possiamo muoverci. (…) I governanti sono vecchi e i giovani sono morti, o partiti clandestinamente, oppure sono disoccupati, fumano zatlan, vanno con Daesh. I governanti se ne fregano, tanto non sono i loro figli a morire”.

Agli uffici dell’ambasciata italiana, raccontano quelli dell’Università di Genova, il dottor Trabelsi si è sentito prima negare il visto perché l’itinerario del volo prevedeva uno scalo a Parigi (meno di due ore) prima di raggiungere Genova. «Non è chiaro quale sia la normativa o la regolamentazione, trattandosi di un semplice transito di coincidenza», denuncia Comanducci. «Poi i vostri funzionari hanno richiesto una lista di ulteriori documenti di curiosa natura e difficile reperimento nell’arco di poche ore (la busta paga del padre di Trabelsi, un certificato di lavoro del medesimo etc), rendendo così impossibile la partenza per il giorno successivo». La conclusione lascia l’amaro in bocca: «Nello scambio culturale e scientifico, come sottolineato peraltro in molte occasioni dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della Repubblica, risiede una delle chiavi per assicurare al Mediterraneo un futuro di pace e sviluppo. Rendere impossibile la mobilità accademica nel nostro Paese a giovani studiosi accreditati è un atto che non va certamente nella direzione da tutti noi auspicata».

Da Genova-Repubblica del 22 aprile 2016

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