Après une période de suspension liée à la propagation de la pandémie “Eufemia“, le projet du collectif artistique Milotta & Donchev trouve un nouveau lieu d’exposition à l’université de la Côte d’Azur.
L’exposition fera l’objet de nombreuses manifestations académiques et publiques, telles que des masters, des conférences sur la sociologie visuelle, des tables rondes liées à la sortie de livres sur la migration, des visites scolaires, des films-débats, etc.
L’installation, située à Université Côte d’Azur, hall de la MSHS (25 avenue François Mitterrand 06300 Nice) sera ouverte du 22 juin au 15 novembre 2021.
Dopo un periodo di sospensione legato alla diffusione della pandemia, “Eufemia” il progetto del collettivo artistico Milotta & Donchev trova una nuova sede di esposizione presso l’Università della Costa Azzurra. La mostra sarà al centro di numerosi eventi accademici e pubblici, come master, conferenze di sociologia visuale, tavole rotonde relative all’uscita di libri sulle migrazioni, visite scolastiche, dibattiti cinematografici, ecc. L’evento della sua inaugurazione che si terrà il 22 giugno alle ore 18:30, accompagna le colloque international “Tri migratoire et expérience du blocage: Afrique, Amériques, Europe“.
L’installazione, collocata presso l’Université Côte d’Azur, hall de la MSHS (25 avenue François Mitterrand 06300 Nice) sarà visitabile dal 22 giugno al 15 novembre 2021.
In un comunicato stampa dell’11 ottobre (Six Years Alarm Phone. The Struggle at Sea Continues), Alarm Phone – la hotline interamente gestita da volontari e attivisti che riceve chiamate di emergenza da parte di profughi e rifugiati in difficoltà nel Mediterraneo – si domanda retoricamente: “che cosa sarebbe oggi il mare senza Alarm Phone, che è diventato parte della ferrovia sotterranea?” Il riferimento alla rete di assistenza alla fuga degli schiavi negli Stati Uniti prima della guerra civile (recentemente al centro di un bel romanzo di Colson Whitehead, appunto intitolato La ferrovia sotterranea) è in realtà diffuso da ormai diversi anni all’interno dei movimenti che si battono a fianco dei migranti e contro i confini esterni e interni europei.
Non sfuggono a nessuno le differenze tra la condizione degli schiavi nel Sud degli Stati Uniti e quelle dei migranti (differenze spesso cancellate nelle retoriche sulla “tratta” e sulle “nuove schiavitù”). Come ha scritto recentemente Maurice Stierl, uno dei fondatori di Alarm Phone, si tratta piuttosto di valorizzare il momento della rivolta che ha accompagnato l’intera storia della schiavitù atlantica e di prendere le mosse dai momenti in cui schiavi e migranti “hanno messo in atto percorsi di fuga verso un luogo percepito come uno spazio di libertà”. Lungo questi percorsi schiavi e migranti si sono imbattuti in una molteplicità di confini e limiti, ma hanno anche incontrato solidarietà e aiuto al passaggio.
Il libro di Luca Queirolo Palmas e Federico Rahola, Underground Europe. Lungo le rotte migranti (Meltemi, pp. 479, 25 euro), si propone per la prima volta di sistematizzare il parallelo tra le esperienze abolizioniste negli Stati Uniti di metà Ottocento e l’insieme delle pratiche di solidarietà che disseminano le “rotte migranti” in direzione e all’interno dell’Europa di “stazioni” di quella che può essere considerata una nuova ferrovia sotterranea. È un libro per molti versi straordinario, capace di combinare storiografia ed etnografia con l’impegno militante e destinato a diventare un classico negli studi sulle migrazioni e sui confini.
L’obiettivo di Queirolo Palmas e Rahola non è quello di proporre “una vera e propria comparazione”, ma piuttosto quello di evocare – nella prima parte – i tratti fondamentali di un’esperienza storica di lotta abolizionista per farli risuonare – nella seconda parte – in un tentativo di censire “le istanze di libertà che percorrono oggi il vecchio continente”, materialmente incarnate nei movimenti di profughi e migranti. Gli abolizionisti sottolineavano, per citare un libro del 1856 di Benjamin Drew (The Refugee)su cui gli autori si soffermano a lungo, il “naturale desiderio di libertà” degli schiavi, che “la paura e la forza” si rivelano inadeguate a contenere. Ne risultava una politicizzazione della fuga che gli autori proiettano sulle migrazioni contemporanee.
La storia della ferrovia sotterranea è del resto una storia contesa. La sua indubbia realtà si intreccia con l’immaginazione, che ne ha fatto prima di tutto nelle piantagioni un mito nutrito dal desiderio di liberazione degli schiavi. La sua estensione geografica e la distribuzione delle sue “stazioni” restano elusive – tanto che disegnarne una mappa risulta un esercizio impossibile, esattamente come è impossibile segnare sulla carta geografica dell’Europa le rotte della migrazione e della solidarietà. Al più si può pensare a una serie di “retro-azioni” e “contro-mappe”.
Una cosa tuttavia è certa per quel che riguarda la ferrovia sotterranea storica: come ha ormai dimostrato la storiografia radicale nera, la rete di solidarietà degli abolizionisti era saldamente impiantata nel protagonismo nero, tanto in quello degli schiavi in fuga quanto in quello delle comunità nere del nord. È un punto fondamentale, che Queirolo Palmas e Rahola proiettano nel presente liquidando ogni immagine – ingenuamente “umanitaria” – del migrante come pura vittima. In ogni stazione del viaggio che siamo invitati a percorrere nella seconda parte del libro (a Calais come a Ventimiglia, a Ceuta e Melilla come a Parigi, ad Atene come a Pozzallo) incontriamo straordinarie figure di migranti capaci di costruire un tessuto materiale di resistenza che costituisce il riferimento fondamentale per pratiche di resistenza che coinvolgono attivisti ma anche persone comuni.
Underground Europe non si occupa specificamente dell’attraversamento del confine marittimo nel Mediterraneo. Segue profughi e migranti nei loro spostamenti dopo il momento dello sbarco (che viene raccontato con grande efficacia nel capitolo su Pozzallo). In questione in questo libro sono dunque i confini interni di un’Europa che, riprendendo un’indicazione di Étienne Balibar, si presenta qui come borderland, “terra di confine”. Queirolo Palmas e Rahola si concentrano su una formula centrale nella governance europea delle migrazioni, ovvero “mobilità secondaria”, gli spostamenti non autorizzati dei migranti e dei profughi dal primo Paese di arrivo. E propongono due concetti – messi a fuoco nell’analisi della ferrovia sotterranea negli Stati Uniti dell’Ottocento – per analizzare e comprendere il funzionamento della governance delle migrazioni: “guinzaglio” e “strappi”. La pretesa di indirizzare e contenere la mobilità appare in questa prospettiva sempre come una reazione alla materialità e alla possibilità di uno “strappo” – a una pratica di libertà.
Di questi concetti gli autori danno molte esemplificazioni nella seconda parte del libro, ad esempio a proposito di Ceuta e Melilla, dove varcare le prime mura “significa farsi agganciare da un guinzaglio istituzionale” che punta a trattenere il migrante all’interno dell’exclave, mentre strappare il guinzaglio consiste nel trovare il modo più rapido per raggiungere la Spagna e continuare il viaggio. Il rapporto tra guinzaglio e strappo si dispiega del resto in tutti i luoghi analizzati in Underground Europe, che sono anche siti centrali nella geografia del controllo delle migrazioni (fatta di “isole confino” e “città ostili”).
Si diceva dell’impegno militante che sostiene il lavoro di Queirolo Palmas e Rahola, evidente nella complicità che rivendicano con profughi e migranti e con le reti di solidarietà che li sostengono. Troviamo del resto nel libro anche un insieme di riflessioni di carattere teorico-politico, decisamente preziose per un ripensamento della solidarietà e dell’attivismo attorno a migrazioni e confini. Il termine che ricorre insistentemente per definire le alleanze e convergenze che lasciano intravedere una ferrovia sotterranea in Europa è “coalizione”: parrocchiani e fedeli delle moschee, studenti erasmus e scout, collettivi noborder e centri sociali, volontari delle ONG, medici, infermieri sono tra i soggetti che si impegnano per garantire il passaggio (con una “egemonica presenza femminile”, come viene opportunamente ricordato).
Piace pensare che si possa qui vedere un altro parallelo con la storia dei neri negli Stati Uniti, che cioè questa coalizione prefiguri qualcosa di simile a quella che W.E.B. Du Bois (in un libro del 1935 dedicato alla “ricostruzione” negli Stati del Sud dopo la guerra civile) chiamava “democrazia abolizionista”, ovvero un nuovo spazio politico aperto dall’insorgenza (dallo “sciopero generale”) degli schiavi. Muovere in questa direzione significa dare una risposta alla domanda “sul possibile significato, oggi, dell’abolizionismo” formulata all’inizio del libro – una risposta, vale la pena di notare, che sono in molti a cercare di articolare negli Stati Uniti di oggi, dove sotto l’impulso originario di Angela Davis l’abolizionismo e la democrazia abolizionista sono oggi strumenti teorici e politici impiegati in riferimento a una molteplicità di temi, dal carcere al muro di confine con il Messico. Altre risonanze, con cui dialoga il libro di Queirolo Palmas e Rahola.
Cycle of on-line seminars – September 30, 2020, 6 and October 13, 2020 (EN)
Assuming the turbulent dimension of migrations and the dynamism of migrant trajectories as starting points, our recent research lines focuses on unauthorized movements as a variable social construction that can be originally explored from the perspective of solidarity networks supporting migrants in transit. Since the beginning of the “migration crisis” in 2015, the term “solidarity” has been widely employed in Europe by local and transnational networks supporting migrants. While becoming increasingly important and prominent actors in contemporary Europe, these solidarity networks are still understudied and have only recently been addressed in migration studies.
The aim is to observe these phenomena on the wider scale of “Europe at large” conceived as the combination of EU countries where restrictive internal border policies reappeared, Mediterranean countries on the fringes of the EU exposed to the externalization of its borders, Outermost Regions of the EU in South America and in the Indian Ocean, that are at the centre of understudied migratory systems and where new border policies are being tested. From Visual Sociology Research Group, Centro Studi Medì and Urmis (Unité de Recherches Migrations et Sociétés), co-organisers of the cycle of on-line seminars, with our international partners (Association for Migration Research, Université de Liège, Université de Sousse, Université de Meknès, Université de Guyane, Centre Universitaire de Mayotte), we will discuss about these central topics through a cycle of on-line seminars in French, presenting our on-going researches and debating innovative research lines in contemporary migration and border studies.
Ciclo di seminari on-line. 30 settembre, 6 e 13 ottobre 2020 (ITA)
Assumendo la dimensione turbolenta delle migrazioni e il dinamismo delle traiettorie dei migranti come punti di partenza, le nostre recenti linee di ricerca si concentrano sui movimenti non autorizzati come una costruzione sociale variabile che può essere esplorata da un punto di vista originale, attraverso la prospettiva delle reti di solidarietà che sostengono i migranti in transito. Dall’inizio della “crisi migratoria” nel 2015, il termine “solidarietà” è stato ampiamente utilizzato in Europa dalle reti locali e transnazionali che sostengono i migranti. Pur diventando attori sempre più importanti nell’Europa contemporanea, queste reti di solidarietà sono ancora poco studiate e sono state affrontate solo di recente negli studi sulla migrazione.
Lo scopo è quello di osservare questi fenomeni ad una scala più ampia della cosiddetta ‘”Europe at large“, concepita come la combinazione di paesi dell’UE, in cui sono riapparse politiche restrittive sulle frontiere interne, paesi mediterranei ai margini dell’UE esposti all’esternalizzazione dei suoi confini, regioni ultraperiferiche di l’UE in Sud America e nell’Oceano Indiano, che sono al centro di sistemi migratori poco studiati e dove si stanno sperimentando nuove politiche di confine. Ricercatori del Laboratorio di Sociologia Visuale, del Centro Studi Medì, dell’Urmis (Unité de Recherches Migrations et Sociétés) – co-organizzatori del ciclo di seminari on-line – discuteranno con i partner internazionali dell’Association for Migration Research, dell’Université de Liège, dell’Université de Sousse, dell’Université de Meknès, dell’Université de Guyane, e del Centre Universitaire de Mayotte nel corso di un ciclo di seminari on-line in lingua francese, nel quale verranno presentate le ricerche in corso e saranno discusse le linee di ricerca innovative sulla migrazione contemporanea e nel campo degli studi sui confini.
“Da quassù la terra è bellissima, senza frontiere, né confini” (Yuri Gagarin)
Il corso di Sociologia delle Migrazioni organizza tre incontri pubblici, che si svolgeranno presso l’Auditorium del Museo del Mare e della navigazione, sul tema dei confini e del loro attraversamento.
23.10 (16.00)/ Mare / I sommersi e i salvati. Testimonianze dalla Libia e dalla solidarietà in mare.
Intervengono: Veronica Alfonsi (Open Arms), Nicola Stalla e Benedetta Collini (SOS Mditerranée/Aquarius), Georges Kougang (operatore umanitario), Enrico Fravega (Unige).
8.11 (16.15)/ Passaggi /Racconti di ricerca azione tra Ventimiglia e la Val Roja.
Intervengono: Luca Giliberti (Unige), Federico Rahola (Unige), Marta Menghi (Unige), Ivan Bonnin (UniRoma 3), Livio Amigoni (Progetto 20k), Ariela Iacometti (Non una di meno), Emanuela Zampa (fotografa).
Prima visione di: “Transiti. La valle solidale” di Massimo Cannarella.
22.11 (16.15)/ Terra / Leggi, sogni, soggiorni. Vite di giovani italo-ecuadoriani.
Prima visione di: “Permiso de soñar” del Colletivo Escuelita
Intervengono: Simone Spensieri (SERT ASL 4), i protagonisti del film, Michele Ruvioli (coautore), Luca Queirolo Palmas (Unige)